lunedì 19 novembre 2012

19 Novembre
Vito Signorile - Alimentazione, sapori, tradizioni e antichi saperi locali




L'incontro con il Maestro Signorile ha aperto la nostra settimana DESS.
Il racconto attraverso le parole dei bambini...

Ce se mange iòsce? Madònne ce ccròsce!
IL CIBO SUL PALCOSCENICO
Intervista a Vito Signorile
Regista e attore del Teatro Abeliano di Bari


Entra con un sonoro applauso nell’ auditorium della scuola primaria G.Tauro , il cantastorie barese Vito Signorile da anni sulla scena teatrale per diffondere le storiche tradizioni della cultura della sua amata terra. Sono i ragazzi delle classi quinte A e B ad accoglierlo e subito si crea quell’atmosfera ludica e scanzonata che fa del personaggio famoso uno di noi: ” Conoscete le lingue, ragazzi? Dico … conoscete il dialetto barese?” Già, perché è con questo linguaggio che ci vuole parlare, un linguaggio che arriva diretto e ci riporta lontano,alle radici della nostra storia.
Cominciamo al contrario, fatemi prima delle domande e poi parleremo del mio spettacolo”.
Prontamente i piccoli giornalisti incominciano la loro intervista …


Perché hai scelto di fare l’attore?
La mia musa ispiratrice è stata mia nonna. Ho avuto la fortuna di avere una nonna molto brava nel raccontare e quando avevo la vostra età ero affascinato dalle sue storie. Alla sua morte ho raccolto molti racconti della tradizione orale di Bari vecchia e tutto il lavoro è conservato in nastri registrati. Quest’arte del raccontare mi ha spinto a fare l’attore, poi … la fiammella si è accesa, mi sono avvicinato al mondo dello spettacolo e ho cominciato a frequentare gruppi di teatro giovanile. 
 
Ritieni che sia faticoso il mestiere dell’attore ?                            
Da principio non è stato semplice, bisogna studiare, fare ricerca, ma la molla che muove il mondo, come tutte le cose, è la passione. Quando hai passione il lavoro diventa un gioco. Recitare in francese si traduce jouer e in inglese to play, del resto, i bambini lo conoscono bene il gioco del teatro, quando fanno il gioco del “far finta …”, in embrione ognuno di noi è un attore quando dice una bugia, che richiede una grande dote recitativa. L’attore osserva, più osserva più è bravo. L’osservazione consiste nello studiare le persone, i loro comportamenti, i loro atteggiamenti, la loro gestualità, le loro emozioni, con grande curiosità. L’attore imita ciò che osserva, riproduce ciò che vede, ammantandolo di una luce nuova, riesce a vivere le tante vite del personaggio che recita, le sue infinite emozioni, va aldilà dell’immagine. Il lavoro dell’attore ha una grande componente di curiosità, l’attore riesce a vivere le tante vite del personaggio che recita. Ancora oggi, quando entro in scena ho il cuore in tumulto. Vedi il pubblico che aspetta, ti giudica, vuole emozioni e il tuo cuore fa su e giù. Ci si innamora di questo lavoro.

Perché hai voluto portare in scena spettacoli che trattano di antiche tradizioni?
A volte le cose che hanno valore nascono per caso. Fino agli anni 50, quando è entrata nelle case la televisione, i racconti e le storie, avevano in sé il grande valore dell’incontro, le famiglie si riunivano, i nonni erano i diffusori della letteratura orale, tutto ciò facilitava i rapporti all’interno dei grandi nuclei familiari. Oggi si è prigionieri del telecomando, la televisione da un lato, diminuisce le possibilità di dialogo all’interno delle famiglie, dall’altro rischia di cancellare gran parte delle storie della nostra tradizione orale. Dobbiamo conoscere il nostro passato per poter costruire il futuro e il mio lavoro mi offre la possibilità di lasciare delle tracce del nostro passato.


A quale dei tuoi spettacoli sei più legato?
Ogni "scarrafon jè bell a mamma soje". Tutti i miei spettacoli sono un po' come creature mie, per cui ad ognuno di loro sono legato. Ogni attore vuole portare in scena il teatro classico, ma il teatro per me rappresenta una finestra aperta
sulle nostre origini, per questo il mio ricordo va al caro amico e collaboratore Michele Campione, autore di inchieste televisive sulla questione meridionale e sulla cultura del Mezzogiorno. Insieme abbiamo scritto per il teatro: "C'era una volta il contadino del sude", un'indagine sui contadini del meridione che sono emigrati. Ricordo che queno è andat in scena per "Punti verdi" di Torino, giardini attrezzati come veri e propri teatri, c'erano non meno di  1500 persone, tra cui molti emigrati baresi, e , dopo lo spettacolo il pubblico si è trattenuto con noi fino a tarda notte; tutti ballavano e cantavano al suono delle musiche della loro terra. E' stato uno spettacolo che ha messo in luce le problematiche del sud.

Perchè hai scelto di intitolare questo spettacolo Ragù?
Il titolo è legato alle tradizioni della cucina barese, una cucina fatta di ingredienti poveri e semplici, ingredienti che vengono dalla nostra terra, dal lavoro dei nostri contadini, utilizzati per una cucina dai lunghi tempi di cottura, come quelli per il ragù, appunto, che deve “pippiare”, deve bollire, cioè, lentamente per ore. Dovete sapere che a Bari il ragù più buono è quello che si fa a casa del macellaio. Il macellaio prepara il ragù con tutti i pezzi di carne avanzati dopo la vendita. Questo mi ha ispirato il titolo dello spettacolo fatto di nenie, racconti, proverbi e saggezza popolare.. Uno dei piatti poveri e più rappresentativi della nostra gastronomia è costituito dalla Làghena Rèzze con la mollica soffritta. Le lagane sono un formato di pasta fresca unico e inimitabile. Da noi, nel sud, sono molto diffuse le lagane e ceci, definite come piatto del brigante. Infatti, la leggenda popolare vuole che i briganti, che infestavano nella seconda metà del XIX secolo i boschi del Vulture, fossero chiamati scolalagane per le grandi quantità di pasta che erano soliti mangiare. Il modo usuale di cucinarle da parte di questi briganti era con i ceci, la cotica di maiale e la salsiccia. Nella tradizione culinaria barese, la lagana riccia si condisce con la mollica soffritta che era il formaggio dei poveri. Una ricetta buona e semplice tanto che, pare che il re, davanti a questo piatto di lagana riccia, dicesse alla regina :” Vatt’a fa na cammenàte “, per poter mangiare anche la sua porzione.

Cosa pensi della dieta mediterranea?
Io vivo in campagna, quindi molti prodotti della mia tavola, soprattutto frutta e verdura, li raccolgo personalmente. Penso che sia molto importante educare l’individuo sin dall’infanzia ad una sana alimentazione. Sono contrario alla globalizzazione, perché rischiamo di perdere le tradizioni del nostro passato, penso ad esempio all’antica tradizione barese di fare le strascenàte a mano, le famose orecchiette baresi. Nei vicoli di Bari vecchia si vedono sempre meno donne intente alla preziosa manifattura come un tempo, così come si annusavano i profumi inconfondibili della nostra cucina mediterranea. In passato le massaie avevano un menu settimanale a cui si attenevano scrupolosamente: lunedì c’erano i legumi, venerdì il pesce, sabato il brodo e la domenica era il sacro giorno dedicato al ragù. Poi avevano la dote di saper mettere insieme gli avanzi della settimana e inventare piatti straordinari. Io ho una classifica personale della cucina barese: al primo posto metto il ragù della domenica, poi la tièdde di patate, cozze e riso, le orecchiette con le cime di rape e la pasta condita con il tonno crudo, che è una delizia. Cucinare è come recitare, è un gioco, bisogna divertirsi a mescolare gli ingredienti, sperimentare nuove possibilità di creare sapori, cambiare le dosi. Giocate con il teatro e giocate in cucina.


…E poi incomincia lo spettacolo.
Canti d’influsso arabeggiante, nenie, tarantelle, filastrocche, proverbi …. è il popolo stesso che diventa un grande poeta. A fare da cornice a tutto, un tegame in terracotta dove lentamente il ragù si sente pippiare emanando il tipico, invitante odore.





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